I segnali sono abbastanza negativi, ma non per tutti. Parliamo di advertising. Ma anche di comunicazione.
Secondo gli ultimi dati Nielsen, mentre la raccolta
pubblicitaria sul web continua a crescere in doppia cifra (+10% circa), quella
di TV e carta stampata conferma un declino senza soluzione di continuità.
Buone notizie arrivano solo da SKY e La7 che, per
motivi diversi, rappresentano eccezioni al grigio panorama dell’ex tubo
catodico italiano.
Queste realtà crescono perché si allontanano dalle
logiche della TV generalista e rappresentano, un passo avanti verso un “diverso”
modo di fare informazione.
In particolare è verosimile sostenere che i risultati
positivi raccolti dall’emittente satellitare, siano il frutto di importanti investimenti su qualità dei contenuti e
tecnologie.
Senza eccedere in eccessivi elogi (neanche qui è tutto
“rose e fiori”)... My Sky prima, i canali in HD poi, gli eventi in 3D e infine
Sky Go, uniti agli investimenti su film, serie tv ed eventi sportivi, confermano
quanto il pubblico apprezzi i media
che sono capaci di rinnovarsi costantemente.
Scenario piuttosto inquietante anche per la carta
stampata. Il segno negativo che accompagna i report dell’editoria periodica da
diverso tempo, è ormai molto più di un sinistro presagio.
Questo calo gli
investimenti pubblicitari, osservato insieme alla forte crescita gli
investimenti sul digitale, testimonia come ormai le aziende abbiano deciso di presidiare
i media digitali, considerandoli più affidabili per dialogare con i clienti.
Ma allora dove stiamo andando? Un articolo dell’autorevole
portale Gigaom
suggerisce: “The future of media = many
small pieces”. Poche parole ma un ottimo riassunto di quella che è la
sensazione di molti addetti ai lavori.
Un approccio “digital
first”, associato a una sempre maggiore frammentazione delle informazioni e alla forza trainante sempre più incisiva del canale
mobile (di cui parlerò ancora e diffusamente).
Mettere insieme tutti questi pezzi, compone un puzzle davvero complesso, che
si basa però su una tendenza semplice e lineare: il collegamento sempre più forte tra advertising e comunicazione.
L’advertising tende ad andare dove ci sono processi comunicativi di qualità,
interattivi e che generano valore per gli utenti. Molto semplice.
La questione è di stretta
attualità anche su twitter e nei pensieri di molti blogger. Proprio in questi
giorni ho letto spunti interessanti e creativi, su nuovi approcci da adottare.
Di grande prospettiva, ad
esempio, un recente post di Luca Alagna (@ezekiel), dedicato proprio ai "Nuovi modi di fare informazione" che presenta, tra gli altri temi, anche una
lucida analisi su come affrontare la crescente Information overload.
Così come affascinante è il progetto editoriale di Futura
Pagano (@Futurap), che partendo dal
tema dell’Organizzazione e gestione di “eventi 3.0”, inizia un percorso basato su analisi di best (ma anche worst!) practice su cui riflettere,
decidendo di completarlo/esporlo a commenti e proposte, puntando con
convinzione sul crowdsourcing.
Bravi entrambi. Idee valide... per citarne solo due recenti, che ho letto e apprezzato. Ma
sono certo che molti altri, su questo tema, meriterebbero una menzione (segnalatemeli!).
Guardando a un quadro più
ampio (e al mercato internazionale)... Oggi, un video sul web vale il doppio di
un testo. Progetti e social media basati su immagini e foto, come Pinterest o
Instagram, generano traffico, piacciono agli utenti e sono un fortissimo polo
di attrazione per gli investimenti. Google, che gestisce il 90% del
"search advertising" sul web e possiede YouTube, Blogger, Google+,
etc… è oggi uno dei principali veicoli per contenuti presente oggi in rete.
In sintesi, mi sembra evidente ormai che, per quanto
autorevole o conosciuto, qualsiasi media
non sia in grado di rinnovare la propria
comunicazione, ascoltare e dialogare con il pubblico, anticiparne i bisogni
e (perché no?!) crearne di nuovi… appare
costretto ad assistere ad un costante declino di lettori e del proprio
fatturato pubblicitario.
E tu, che media vuoi essere?
2 commenti:
La qualità dei contenuti, se anche si volesse misurare, sarebbe multidimensionale: sul piano più assi dei singoli tipi (testo, immagini, video, musica, effetti etc), in ordinata una valutazione della crossmedialità e della transmedialità. Ma tanto non si può misurare, quindi quasi nessuno se ne preoccupa.
Tu hai assolutamente ragione Leo.
Anche io penso che non ci sia una comunicazione fatta BENE (passami il termine generico) o di qualità... a prescindere.
La qualità credo sia data anche da come sono impostati i contenuti e dal tipo di fruizione per cui sono pensati (concordo su crossmedialità e transmedialità, di cui parli).
Provocatoriamente rafforzerei dicendo che il "progetto" di un qualsiasi contenuto si crei, dovrebbe riparte quasi da zero ed essere re-impostato, quando si cambiano modalità/media/device con cui viene divulgato.
Nel breve periodo, può dare buoni risultati economici anche una comunicazione più standardizzata (in Italia - purtroppo - ci sono molti casi del genere).
Ma sono convinto che, nel lungo periodo, gli investimenti in advertising tendano ad essere "meritocratici" e riconoscano la qualità intesa in questo senso più ampio.
Posta un commento